Lavori

 

 

 

 

Medusa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cnidoblasti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ortica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pelagia nocticula

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Medusa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Medusa

 

 

 

 

 

 

 

 

Scifozoi

Meduse

Più volte nel corso della mia attività professionale, mi era accaduto di dover trattare pazienti affetti da lesioni originate da punture di medusa.
I trattamenti terapeutici sui pazienti (sia ambulatorialmente che con immediati interventi in ambito balneare), erano stati effettuati sulla base delle conoscenze di medicina allopatica.
Analogamente avevo agito su pazienti con dermopatie prodottesi in conseguenza del contatto con l'ortica.
Ma come Paolo di Tarso che, illuminato sulla strada per Damasco, modifica radicalmente la sua vita, l'incontro con la medicina omeopatica ha fatto maturare in me (mi si perdoni l’ardito paragone) l'esigenza di approfondire l'osservazione delle sintomatologie, manifestate dai pazienti, anche comparandole tra loro.
Questa nuova e differente impostazione mentale mi ha fatto porre l’interrogativo se le reazioni prodotte da puntura di medusa potessero essere terapeuticamente risolte, con medicamenti omeopatici, mediante somministrazione di ortica.
Mi torna alla mente la frase di Friedrich von Handenberg noto come Novalis (1772-1801): "Le teorie sono reti: solo chi le butta pesca". Pertanto nel corso dell'ultimo biennio ho intrapreso una sperimentazione terapeutica col vegetale Urtica su reazioni cutanee conseguenti alla puntura di Medusa.
LA LEGGE DI SIMILITUDINE
L'utilizzazione di Urtica urens, a diluizioni omeopatiche, nella terapia delle punture da medusa può trovare un razionale se, da medici omeopati ossequiosi delle regole dettate da Samuele Hahnemann, facciamo riferimento alla Legge di Similitudine su cui si fonda la medicina omeopatica.
Ed un'altra considerazione che ha condotto alla scelta di utilizzare un rimedio vegetale per la cura di sintomi prodotti da organismi del mondo animale si basa sul consiglio dato da Pierre Schmidt nel secondo dei suoi famosi quaderni : "Cominciate sempre con un rimedio vegetale se potete".
LA MEDUSA
Le meduse appartengono al grande gruppo dei Celenterati comprendente circa 10000 specie. La medusa più diffusa nel mar Mediterraneo è la Pelagia Noctiluca.
Il piano organizzativo del loro corpo, come si può osservare nella figura 1, è semplice: l'animale si presenta come un recipiente concavo che può essere a forma di vaso, il polipo; oppure di scodella, la medusa; facente parte quest'ultima della classe degli Scifozoi.
Le meduse sono formate da due strati di tessuto, uno esterno, l'ectoderma ed uno interno, l'entoderma (o gastroderma). Tra i due strati è interposta una sostanza gelatinosa, la mesoglea, di natura proteica, che nella medusa rappresenta il costituente più cospicuo dell'organismo.
La struttura caratteristica di questo animale è il celenteron, la cavità digerente da cui il gruppo prende il nome. I Celenterati catturano la preda per mezzo di tentacoli situati al margine esterno del celenteron; questi tentacoli sono forniti di cnidoblasti, speciali cellule, situate nei tentacoli e nelle pareti del corpo, che contengono una capsula urticante nella quale è introflesso un filamento cavo attorcigliato che, in risposta a stimoli chimici o meccanici si estroflette.
Questo processo comporta evidentemente un aumento improvviso della permeabilità della parete della capsula, con conseguente immissione di acqua ed aumento notevole di pressione, con apertura della capsula ed estroflessione del filamento.
Vi sono 4 tipi di cnidoblasti, in (a) e (b) il filamento è vischioso e viene usato dall'animale per far aderire i tentacoli ad oggetti solidi; il tipo in (c) viene usato per avvolgere e catturare la preda; in (d) è munito di aculei che penetrano nei tessuti della preda e vi iniettano una sostanza paralizzante.
La medusa può causare vari gradi di ferite nell'uomo. La lesione avviene quando la vittima viene a contatto con i tentacoli di medusa per cui le nematocisti o cnidoblasti espellono i loro filamenti, che, penetrati nella pelle umana, vi depositano il veleno.
Studi biochimici hanno dimostrato che il veleno consiste soprattutto di polipeptidi ed enzimi (collagenasi, proteasi, elastasi e nucleasi) che esercitano azioni tossiche.
TOSSICOLOGIA DA MEDUSA
La più comune sindrome di avvelenamento da medusa è una locale irritazione caratterizzata da vari stati reattivi irritativi che giungono sino alla dermatonecrosi, emolisi e lisi mitocondriale.
L'iniezione della tossina con le sue sostanze proteolitiche determina la liberazione di istamina (normalmente presente nell'organismo e derivata per decarbossilazione dall'istidina) da cui deriva una triplice risposta :
1. si determina una dilatazione capillare che provoca una piccola macchia rossa nel punto di iniezione;
2. la dilatazione arteriolare causa rossore (eritema) su un'area più vasta. L'eritema è mediato da un riflesso assonico: l'impulso afferente provocato dall'istamina viaggia nella direzione normale verso il corpo neuronale, ed allo stesso tempo un riflesso antidromico vasodilatatore viaggia centrifugamente giù per un'altra branca dello stesso neurone sensitivo;
3. un pomfo dovuto all'edema localizzato si forma nell'area della dilatazione capillare.
In sintesi la reazione è caratterizzata da intenso dolore, prurito, eritema, pomfo, reazione edematosa più o meno estesa e, in un quadro successivo, lesioni vescicolari ed emorragiche, necrosi ed ulcerazione.
In casi eccezionali la puntura di una medusa può essere causa di manifestazioni anafilattiche poiché la mistura di polipeptidi del veleno ha proprietà tossica diretta, ma anche proprietà antigenica. In alcuni pazienti è stata dimostrata l'esistenza di anticorpi specifici anti-medusa.
LA PIANTA DI ORTICA
L'ortica appartiene alla famiglia delle Urticacee, piante erbacee con fusto per lo più eretto, a succhi acquosi e privi di latici appartenenti all'ordine delle Urticali (piante Spermatofite Dicotiledoni). Si compone di circa 40 generi e di 400- 500 specie ( a seconda degli AA. ) diffuse in tutto il mondo e che si caratterizzano sia per la loro usuale nitrofilia, sia per la presenza di peli urticanti che possono provocare irritazioni brucianti.
Le ortiche hanno foglie opposte e sparse, fornite di stipole, fiori normalmente dioici, piccoli, omoioclomidati, a perigonio erbaceo, con ovario di solito uniloculare per lo più a fecondazione anemogama; il frutto è una nucula o una drupa; i semi sono generalmente ad endosperma oleoso. Le ortiche più diffuse in Italia sono di due qualità: la grande detta dioica e la piccola detta urens che hanno in comune le proprietà e l'azione.
Crescono spontaneamente lungo le praterie, vicino alle costruzioni di campagna, lungo i fossi ed i muri campestri. L'urtica è medicamentosa dalla radice allo stelo, alle foglie, fino al fiore. Sin dall'antichità godeva di grande prestigio ed Albrecht Dürer ( 1471 - 1528 ) dipinse un angelo che vola verso il trono del Signore reggendo in mano un'ortica.
Il parroco svizzero Kunzle, insigne erborista, osserva nei suoi scritti che l'ortica sarebbe già estirpata se non si difendesse producendo quella nota irritazione cutanea a chi ne viene a contatto : gli insetti ed altri animali l'avrebbero già fatta scomparire.
E' chimicamente composta secondo Weiser da un glucoside, l'urticina, non ben conosciuto, da acido formico, carotina, una materia colorante rossa, un alcaloide velenoso scoperto da Saladin e non ben noto. Sono inoltre presenti acido gallico (acido 3-4-5 triossi-benzoico), nitrato di potassio, tannino, sostanze resinose e peptiche. Secondo Anderson nelle ceneri vi è molto calcio, potassio, ferro e fosforo.
Viene molto usata in erboristeria sia come estratto fluido che come tintura, sciroppo, lozione per il cuoio capelluto o ancora come pozione diuretica.
Secondo Garello e Cantani (1939) la pianta possiede azione digitalisimile. Ondar (1911) la trovò utile come astringente nel trattamento delle enteriti. Jaretsky (1942) dimostrò che l'infuso aumenta notevolmente l'eliminazione dell'urea e dei cloruri. Harnagy (1943) ha dimostrato che l'ortica da luogo ad una netta azione ipoglicemizzante. Viene ancora utilizzata per la cura di eczemi, delle algie osteomuscolari, delle cardiovascolopatie.
Secondo Fleury (1929) l'azione irritante dell'ortica è dovuta ad una combinazione non volatile, non satura, priva di azoto, di natura acida. Ma l'idea più comune è che l'insopportabile e tormentoso prurito è dovuto all'acido formico che ogni parte della pianta contiene e secerne, al minimo contatto, dalla peluria che la ricopre.
L'acido formico deriva il suo nome dal fatto che fu isolato per la prima volta nel corpo delle formiche rosse. Esso è contenuto in piccolissima quantità nel sudore. In laboratorio l'acido formico si prepara comunemente dall'acido ossalico che riscaldato si decompone in ed acido formico.
L'acido formico è un liquido incolore, di odore pungente con forte azione caustica e potere antisettico.
PATOGENESI DELLA PUNTURA DA ORTICA
Il contatto quindi con la soluzione urticante liberata dalla pianta determina un quadro clinico simile all'orticaria: intendendo con questo termine una dermatosi caratterizzata da eruzione cutanea a rapida insorgenza di elementi pomfoidi. Il pomfo è un sollevamento della cute di dimensioni variabili da quelle di una capocchia di spillo a quelle del palmo della mano, di forma da rotonda a policiclica, di colore tra il rosa pallido ed il biancastro, dovuto ad un edema localizzato nell'epidermide e nel corion.
A seguito del contatto con l'ortica pertanto il primo sintomo è il prurito, seguito da dolore e dalla comparsa di un eritema ed in seguito rigonfiamenti che possono rimanere di piccole dimensioni (1,5 mm) o ingrandirsi. Ne può seguire un edema più vasto. La reazione anche in questo caso è mediata dall'istamina.

COMPARAZIONE PATOGENETICA
L'osservazione dei quadri clinici descritti per le punture da medusa e per quelle da ortica ci fa notare la grande similitudine nell'espressione sintomatologica: prurito, dolore, eritema, pomfo, edema.
La similitudine del meccanismo patogenetico, pur nella diversità delle sostanze eziologiche, ci ha stimolato a sperimentare l'utilizzo di urtica urens, che abbiamo scelto nella diluizione omeopatica 6 CH ( sesta centesimale hahnemanniana), nelle reazioni cutanee conseguenti a puntura di medusa, nel rispetto della legge dei simili.
TRATTAMENTO EMPIRICO
Varie sostanze sono entrate empiricamente nell'uso comune come rimedio per le punture da medusa come la soluzione di formalina, di bicarbonato di sodio, di acido borico, di acido carbossilico.
Per un estratto di Ipomoea Pes-Caprae uno studio di Pongprayoon, Bohlin e Wasuwat pubblicato nel 1991 su "Journal of Ethnopharmacology" ha messo in evidenza la capacità di neutralizzare gli effetti della puntura da medusa. Nel lavoro dei suddetti autori l'estrazione dei componenti della pianta avviene con un petrolio etere e successivo passaggio con solfato anidro di magnesio ed evaporazione. Da ciò si produce un olio chiamato IPA (0,05 % di prodotto) con il quale si ottiene una crema all'1 % utilizzata nella neutralizzazione del danno cutaneo da medusa. Purtroppo dalla pubblicazione non ci è dato conoscere i componenti dell'IPA, pertanto citiamo il lavoro solo per avvalorare l'assunto di Schmidt per il quale è utile utilizzare sempre inizialmente un rimedio vegetale.

L'ESPERIENZA CLINICA
Il primo caso che descriveremo riguarda la reazione cutanea conseguente a puntura di medusa Pelagia Noctiluca su Giovanni L., di anni 14. La regione cutanea interessata dal contatto è quella deltoidea. I sintomi riferiti sono quelli classici: sensazione di intenso prurito associato a bruciore e senso di puntura. Sulla cute si osserva, inizialmente, fenomeno irritativo caratterizzato da intenso rossore cutaneo e lievemente rilevato. Successivamente comparsa di edema e vescicole. Aggravamento locale con il minimo contatto e con applicazione di liquidi freddi. Urtica urens è stata somministrata in granuli alla diluizione 6 CH.
Ossequiosi dei dettami dell'Organon abbiamo somministrato il rimedio Urtica urens secondo quanto raccomandato da Hanhemann nei paragrafi dal 245 al 251 e con particolare riferimento al paragrafo 246 : "...che la potenza di ogni dose sia un pò diversa da quella della dose precedente o successiva ...".
Per tale motivo ad una prima somministrazione di due granuli è seguita una somministrazione in soluzione acquosa che veniva sottoposta, ogni volta, ad un numero sempre più elevato di succussioni. Le somministrazioni venivano ripetute inizialmente ogni 15 minuti ed in seguito al miglioramento dei sintomi venivano sempre più diradate.
La sintomatologia soggettiva è migliorata già dalla seconda somministrazione con attenuazione delle sensazioni di dolore e bruciore. Dopo la quarta somministrazione è iniziata la risoluzione della sintomatologia oggettiva. Successivamente le somministrazioni sono state progressivamente distanziate e sono continuate per circa 6 ore.
Il secondo caso riguarda una ragazza di 16 anni Marika Z. La regione cutanea interessata è quella latero-cervicale. La sintomatologia soggettiva ed oggettiva è simile al caso precedente. La terapia, anche in questo caso, è stata effettuata con Urtica urens 6 CH somministrata con le stesse modalità del caso precedente.
L'USO TOPICO DI URTICA URENS IN DILUIZIONE OMEOPATICA
E' stata inoltre preparata una soluzione con 10 granuli della medesima sostanza alla 6 CH con la quale è stato imbibito un grosso batuffolo di ovatta che è stato posto ad impacco sull'area cutanea interessata.
Anche in questo caso i tempi di risoluzione della sintomatologia soggettiva ed oggettiva sono stati molto rapidi.
Il terzo ed ultimo caso ha riguardato Roberto L.C., di anni 42. La regione cutanea interessata era la superficie dorsale del braccio sinistro. Alla sintomatologia soggettiva ed oggettiva si associa una discreta impotenza funzionale dell'arto.
La terapia praticata ha ripetuto lo schema del caso precedente confermando oltre ad una rapida ripresa della funzionalità, una molto rapida risoluzione della sintomatologia soggettiva ed oggettiva.
A distanza di circa 40 giorni dall'episodio urticante, in tutti e tre i casi non è residuata traccia della lesione cutanea e ciò senza ulteriori trattamenti.
CONCLUSIONI
Ci si potrebbe contestare l'aver utilizzato il medicamento diluito anche per uso esterno in relazione a quanto scritto da Hahnemann nel paragrafo 194 dell'Organon che recita "Nelle malattie acute, insorgenti rapidamente, ... , non devesi applicare, sulla parte esterna malata, alcun medicamento, fosse anche quello salutare, omiopatico, usato per uso interno; tanto meno se questo fosse contemporaneamente somministrato per bocca. Infatti i mali locali (per esempio flogosi di parti, eresipela, ecc), che hanno origine non da agenti traumatici violenti, esterni, ma da cause dinamiche interne, scompaiono di solito sicuramente con rimedi scelti tra quelli noti, purché corrispondano omiopaticamente allo stato presente del malato ...".
Ma è lo stesso padre fondatore della disciplina che ci viene in soccorso.
Il paragrafo 186 infatti recita "Quei mali locali, che sono recenti e dovuti unicamente ad un agente esterno, sembrano i soli a meritare tale denominazione ...": quando cioè la lesione è “...molto lieve e quindi insignificante...” e non si tratta quindi nel nostro caso di quei ” ....mali di una certa importanza che attaccano il nostro corpo dall’esterno e tutto l’organismo ne viene a soffrire...”.
Risulta da ciò giustificato il nostro comportamento, poiché nel rispetto dell'Organon, l'uso esterno dei rimedi omeopatici è proscritto solo per le manifestazioni esterne dei "miasmi" e non per le cause accidentali traumatiche o nocive che non coinvolgano l’organismo nella sua interezza.
Certamente sarebbe molto utile poter effettuare uno studio con randomizzazione dei casi che si presentano alla nostra osservazione ed eventuale somministrazione dei rimedi con "cieco" o "doppio cieco", ed ancora a diverse diluizioni omeopatiche, ma, l'esiguo numero di casi in rapporto alla popolazione che, consapevolmente, richiede di essere curata con rimedi omeopatici e la difficoltà di reperimento degli stessi in ambiente balneare e con l'urgenza che i casi richiedono, rende molto difficile la realizzazione dei suddetti propositi.
Ciò nonostante, in un più prolungato periodo di tempo e con la convinzione nel nostro lavoro, le conferme delle nostre ipotesi terapeutiche potranno essere più numerose.

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